Islam e studio

Fra i vari principi e prescrizioni che l’ uomo Musulmano segue si annovera senza ombra di dubbio l’ importanza – e si se vuole, anche il carattere cogente –  dello studio.  Studio è una parola di derivazione latina (studium) e  sta a significare il gesto del tendere verso qualcosa con zelo, avere diligenza e cura nell’ applicazione della mente a qualche cosa per impararla. Orbene, l’ Islam invita il fedele ad applicarsi con sollecitudine nell’ apprendimento, apprendimento che si muove per così dire lungo due linee direttrici: la prima, in maniera pressoché lapalissiana, ci esorta a ricercare continuamente il sapere nella nostra prima fonte, i.e. il Sacro Corano, nonché nelle raccolte di ahadith (detti profetici), nei testi scritti dagli studiosi musulmani dei primi secoli e non solo. Insomma si dovrebbe fare di tutto il vastissimo materiale sull’ Islam che ci è arrivato la nostra sorgente dalla quale attingere continuamente le nostre nozioni e conoscenze. Infatti, cosa meglio del Corano o di un hadith autentico potrebbe  farci capire l’ importanza attribuita alla conoscenza della religione e quindi aumentare la nostra consapevolezza dell’ essere Musulmani? La seconda linea invece si muove nel senso di studiare non solo ciò che è “prettamente islamico”, ma anche – attenzione all’ accezione che si dà a questo termine oggi pericoloso –  ciò che è laico: si fa pertanto riferimento a tutte le  altre materie e branche, quali la storia, la geografia, la filosofia, la medicina etc…  Si potrebbe quindi affermare , facendo una chiara allusione ad un personaggio cardine della filosofia occidentale ,  che per i Musulmani non è sufficiente sapere di non sapere: il jihad, lo sforzo che viene richiesto nell’ arrivare a vere conoscenze (che poi verranno concretamente utilizzate) va ben oltre questa dichiarazione di ignoranza.

Per capire quanto lo studio sia di grande e notevole interesse basti semplicemente pensare al fatto che i primissimi versetti del Sacro Corano rivelati al Profeta, la pace e la benedizione divine siano su di Lui, e che oggi fanno da incipit alla Sura Al ‘Alaq, recitano così: “Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l’ uomo da un’ aderenza. Leggi, ché il tuo signore è generosissimo, colui che ha insegnato mediante il calamo, che ha insegnato all’ uomo quello che non sapeva” (trad. interpretativa a cura di Hamza R. Piccardo). La prima parola del primo versetto rivelato è “Leggi! Iqra!”. E’ interessante considerare come è avvenuta questa rivelazione; il Profeta, la pace e benedizione divine siano su di Lui,  si trovava in una grotta a meditare quando una figura umana improvvisamente gli apparve e pronunciò la fatidica parola “Leggi!” il Profeta Muhammad, la pace ela benedizione divine siano su di Lui rispose: “Non so leggere”, allora quella figura lo strinse fortissimamente e insistette: “Leggi!”. Dopo che questo fatto si ripeté ancora una volta la creatura recitò i primi cinque versetti di questa sura affinché, come disse poi l’Inviato di Allah, “le parole fossero scolpite nel mio cuore.                                                                                                           Alla luce di tutte queste riflessioni si possono confutare le parole di  Victor Hugo e di quanti altri lo seguono ad oggi : “La religione non è altro che l’ombra gettata dall’universo sull’intelligenza umana“. Ebbene per i musulmani non dovrebbe affatto essere così:  l’Islam non pone l’  intelletto umano e la religione in una situazione di antinomia, anzi, concilia i due aspetti.

Dopo queste nozioni di carattere storico- generale sembra opportuno guardare anche a tempi più recenti.  Il mondo è in perenne cambiamento perché “tutto scorre”;  aveva davvero ragione quando uno dei primi filosofi dell’ antica Grecia diceva che un uomo non si bagna mai due volte nella stessa acqua. Ecco che  In ragione di questo processo di modificazione, complicazione dei fenomeni naturali ed artificiali che ci circondano, risulta assai doveroso  studiare.                                                    Senza mai dimenticarsi della propria fede, che è qualcosa di squisitamente personale e intimo, i musulmani e soprattutto i giovani – indipendentemente dal luogo nel quale si trovano attualmente –  dovrebbero arrivare alla consapevolezza del ruolo che rivestono all’ interno della comunità, momento associativo nel quale vengono richieste delle competenze specifiche e necessarie in tutti gli ambiti della vita.  In altri termini la società ha bisogno di ingegneri, medici, avvocati, scienziati, insegnanti, etc.  Sono tutte figure queste – ma non solo – che concorrono al buon funzionamento  della società.

Toccando ora un aspetto  più vicino a noi e al  luogo nel quale abbiamo stabilito la sede dei nostri maggiori interessi nonché la nostra casa (l’ Italia), ci si potrebbe chiedere: ma il musulmano  italiano – che lo sia perché è così chiarito sui documenti o che lo sia per una forte convinzione dovuta alla permanenza prolungata sul territorio o per altri motivi – come opera in questo complesso quadro appena delineato?   Come concorre al benessere collettivo?  Più nello specifico, il giovane musulmano immigrato cosa potrebbe/ dovrebbe fare?  Sono tutte domande che stanno trovando risposta negli ultimi anni, i c.d. anni delle prime vere e proprie generazioni italiane. Il luogo di riferimento sono le scuole secondarie superiori: la lungimiranza, o per lo meno il buonsenso, dicono ai  giovani a scegliere le scuole superiori sulla base delle proprie capacità e dei propri eventuali futuri obiettivi lavorativi, non invece sulla base dell’ esperienza dei fratelli, degli amici o dei consigli dei professori (fattori che comunque si possono certamente prendere in considerazione, ma che non devono essere determinanti nella scelta).   Non vi dovrebbe pertanto essere un timore di non essere all’ altezza, per esempio, di un liceo se si hanno effettivamente i buoni presupposti per affrontarlo.  E senza ombra di dubbio non si vuole operare nessuna forma di “discriminazione” o evocare una sorta di superiorità di alcune scuole rispetto ad altre.  C’ è il timore di cadere in questioni piuttosto delicate e che risentono anche di influenze di altri fattori esterni, per esempio l’ origine dei ragazzi, ma affrontando questo percorso si rischierebbe di deviare dal tema centrale del testo.

Un altro aspetto interessante invece, forse anche di carattere antropologico/psicologico/morale è questo; è il caso soprattutto dei genitori emigrati in Italia che fanno quotidianamente sacrifici per permettere ai figli una vita ed un futuro migliore rispetto a ciò che hanno vissuto. E’ giusto “ricompensare” gli sforzi di questi  genitori andando bene a scuola, studiando, tenendo bene a mente che non si tratta di un’ attività solamente fine a se stessa (giustificata da un amore per gli studi) ma che avrà de facto, e quindi in concreto, ripercussioni e conseguenze successivamente. Del resto anche il modesto operaio immigrato che si guadagna da vivere  in maniera più che dignitosa e permette alla sua famiglia  di avere un tenore vita  molto buono vuole il figlio dottore.  Ma al di là di tutte queste riflessioni, (che certamente necessitano di essere approfondite) , ciò che veramente conta per ogni musulmano, perché è di questo che si sta parlando alla fine, è la c.d.  intenzione.  L’ Intenzione, questo aspetto straordinario di cui a volte ci si dimentica,  è alla base di tutto, di ogni singola azione. Se il giovane ha veramente intenzione di approfondire i suoi studi scolastici lo farà, indipendentemente dal fatto  che andrà a fare la scuola X o la scuola Y.  Stesso ragionamento vale per gli studi universitari.

Alcuni potrebbero contestare il fatto che dedicarsi a questi studi “terrestri” potrebbe indurre a dimenticarsi degli studi religiosi; in realtà  l’ Islam  non dice di  condurre una vita monastica.  Come  in tutte  le cose del resto si dovrebbe trovare un modus vivendi e operandi, nonché una giusta misura:  lo studio va applicato per entrambe le linee di cui si è parlato all’ inizio, avendo la capacità di discernere fra ciò che è mondano ( nel senso stretto del termine) e ciò che è religioso, e soprattutto ricordando di costruire qui in questa vita terrena la strada  o le strade che ci potranno condurre alla salvezza nell’ altra vita.  Se lo studio conserva il carattere di adorazione ( ‘ibadah) che possiede ontologicamente, allora non vi è ragione di temere deviazioni; se al contrario invece lo studio diventa una forma di tracotanza, superbia, un modo per esteriorizzare le proprie conoscenze per il solo gusto di essere lodato dagli altri uomini, allora perde il carattere  di ‘ibadah e perde ogni sua connotazione positiva.  L’ unica lode che si dovrebbe cercare è quella del Creatore.

Allah ne sa di più

 

Asmae Belfakir
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