Intervento del Prof. Consorti su fatwa e diritto statale

Il 3 giugno 2021 l’Unione delle Comunità islamiche d’Italia ha diffuso una fatwa sulla illiceità dei matrimoni forzati nell’Islam. Lo spunto nasce da un fatto di cronaca non ancora accertato, che rende tuttavia verosimile la possibilità che la sparizione di una giovane donna residente in Italia sia dovuta alla sua uccisione da parte dei familiari per essersi sottratta ad un matrimonio combinato (qui un articolo del Corriere della Sera e del Resto del Carlino).

I “matrimoni combinati” costituiscono una prassi consuetudinaria molto diffusa nel passato, anche in Europa, e tuttora presente in molte parti del mondo. Essa oggi contrasta con la contemporanea concezione dei diritti umani: l’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani recita: “Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi”. Ovviamente, il diritto italiano esprime questo stesso principio e la maggior parte dei diritti religiosi segue questo medesimo orientamento. Tuttavia, qualcuno ancora erroneamente crede che la decisione sul matrimonio riguardi i genitori e non i diretti interessati. Questo avviene specialmente nelle tradizioni culturali che ammettono i “matrimoni precoci” (ossia di persone di età non sufficientemente matura), ancora diffusi in Asia e in Africa subsahariana. Due recenti serie televisive – molto seguite in tutto il mondo – hanno raccontato questa realtà come ancora presente nell’ebraismo ultraortodosso (mi riferisco a Unorthodox e Shtisel). E’ quindi possibile che qualcuno possa erroneamente credere che la propria religione ammetta queste pratiche, o addirittura le pretenda.

Si tratta di un vero e proprio errore dovuto all’ignoranza. E’ quindi un bene che le religioni facciano chiarezza su questo punto e ribadiscano che il matrimonio è un atto che si fonda sul consenso prestato liberamente dai due diretti interessati e che costoro abbiano l’età sufficiente per assumerne gli obblighi conseguenti.

A mio parere, la fatwa emessa dall’Unione delle comunità islamiche d’Italia si inserisce pienamente in questo contesto e ha il merito di chiarire il punto di vista delle comunità religiose islamiche italiane e delle loro guide spirituali. A questo proposito però le cronache hanno diffuso opinioni discordanti. In qualche caso fondate – ancora una volta – sul falso presupposto che la “fatwa” costituisca una sentenza giuridicamente vincolante. Il termine “fatwa” invece coincide con il latino “responsum“: è un parere religioso che chiarisce possibili dubbi interpretativi e obbliga i fedeli a rispettarlo come tale, nella misura in cui costoro riconoscono l’autorevolezza della fonte che lo ha emanato. In altri termini, è ben possibile che qualche fedele possa discutere o dissentire sulla legittimità di un determinato parere, magari solo perché non riconosce l’autorevolezza della fonte che lo ha redatto. Nelle comunità religiose, che sono tutte al loro interno molto più plurali di quanto siamo disposti a credere, accade spesso che i fedeli si dividano sull’interpretazione della legge religiosa. Sopra ho ricordato come le comunità ebraiche siano divise sulla liceità dei matrimoni combinati, e più in generale si può rammentare che il matrimonio è considerato un sacramento per i cristiani cattolici e ortodossi, ma non per gli evangelici. I diritti religiosi si nutrono di questa dinamica di dubbi e risposte. La legge religiosa è di per sé la strada che ciascun fedele deve seguire per rispettare la volontà divina: si chiami essa vocazione, shariadharma.

In questo contesto la fatwa dell’Ucoii aiuta a fugare l’idea sbagliata che qualche musulmano potrebbe avere circa la legittimità, o addirittura la doverosità, di matrimoni combinati contro la volontà della donna. Ciò non toglie che qualche musulmano possa non accettare come obbligatoria questa indicazione religiosa, ma non si può non salutare con favore il fatto che l’organizzazione islamica più numerosa d’Italia abbia pubblicamente denunciato questa ipotesi come contraria al Corano e alla volontà del Profeta.

E’ anche vero che non possiamo far finta di non sapere che l’Islam italiano è plurale: è quindi realistico annotare che altre realtà islamiche italiane non hanno gradito questa presa di posizione dell’Ucoii. Non tanto – immagino – perché non ne condividono la sostanza (sarebbe gravissimo!), ma forse perché sono state prese alla sprovvista e in un certo senso bruciate sul tempo. Ho visto che anche l’on. Giorgia Meloni – con un post su Facebook – ha rimproverato l’Ucooi e la sua fatwa, per almeno due motivi: il primo, perché ritiene l’Ucoii un’organizzazione vicina alla sinistra italiana e ai Fratelli musulmani, e l’altro in quanto considera inaccettabile che in Italia un’organizzazione islamica emetta fatwe, che sono – si legge nel suo post -. “interpretazioni giuridiche della legge coranica” rese dalle autorità religiose negli stati islamici.

Il primo motivo riguarda una sua legittima opinione e capisco che la leader di uno dei maggiori partiti della destra italiana abbia interesse a contrapporsi ad un’organizzazione che ritiene di sinistra. Non so se l’Ucoii sia di destra o di sinistra, so che si tratta di un’organizzazione plurale e suppongo che alle loro comunità aderiscano sia elettori di destra che di sinistra, come per fortuna accade ormai in tutte le realtà religiose presenti in uno Stato laico. La sua riferibilità ai Fratelli musulmani – che è un’espressione dell’Islam politico e non religioso – è controversa. La sua opinione è certamente legittima, ma non credo sia opportuno strumentalizzare in chiave politica un tema religioso. Fa parte dell’idea stessa di laicità.

Sul secondo motivo ho in parte già detto. Considerare le fatwe pareri giuridici e non religiosi è un errore. Il fatto che sia comune non lo trasforma in una verità. Essendo errato il presupposto, anche la conseguenza diventa difettosa. L’on. Meloni appare preoccupata della presenza del diritto islamico in Italia, e avrebbe ragione, se e quando questo fosse contrastante con quello dello Stato. Personalmente, credo che il fatto che un’organizzazione islamica italiana abbia preso la parola per avvalorare anche dal punto di vista religioso i principi del diritto italiano, costituisca un punto positivo e non negativo. Dimostra la maturità dell’Islam italiano (o almeno, di questa sua parte) di intervenire autorevolmente esprimendosi in modo chiaro e inequivocabile a vantaggio dei diritti umani, e delle donne in particolare. A me pare un bene, e non un male censurabile.